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Dolomiti Experience

Se per voi una vacanza significa comfort, ospitalità e tanti servizi, la scelta migliore non può che essere quella dell’Hotel Antelao Dolomiti Mountain Resort 4*S, il nuovo albergo 4 stelle S di Borca di Cadore, a pochi minuti da Cortina d’Ampezzo.
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Il Becco di Cuzze è un promontorio situato tra i paesi di Vodo di Cadore e Zoppè di Cadore. Durante la Grande Guerra faceva parte del sistema di "massima resistenza" delle linee italiane articolando postazioni di tiro, casermette di deposito e camminamenti in trincea.


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Cinque_Torri.jpg

La Torre Trephor non esiste più. La guglia di pietra staccata della Quarta Bassa delle Cinque Torri di Cortina , nota agli arrampicatori di tutto il mondo, si è spaccata in tre parti improvvisamente, resta ora un ammasso di pietre e polvere al posto del monolite alto una cinquantina di metri.


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Passo Tre Croci (1805 m): in Comune di Cortina d'Ampezzo, nei pressi della Cappella sul Passo, si trova la partenza del sentiero n°213; quella del sentiero n°215 è situata qualche decina di metri dall'albergo del valico, in direzione Misurina.


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A sinistra la Strada di Tranego, antica strada militare in sterrato, comoda da percorrere grazie alla pendenza dolce e costante, esposta a sud si gode lo splendido panorama sul Centro Cadore, sale fino a quota 1.900 (Cima Tranego) per ridiscendere verso Forcella Antracisa a quota 1.693 metri.


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Vajont

“COME ARRIVARE”

Da Cortina d’Ampezzo: proseguire sulla strada statale 51 e arrivati a Longarone attraversare il fiume Piave, in direzione Codissago, si prosegue fino alle gallerie dove si entra in Friuli e poi alla Diga del Vajont.

Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia).
La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.
La stima più attendibile è, a tutt’oggi, di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l’aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l’aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l’allarme la sera del 9 ottobre per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.
Fu aperta un’inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi.
Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.
La zona in cui si è verificato l’evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.
Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia).
La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.
La stima più attendibile è, a tutt’oggi, di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l’aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l’aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l’allarme la sera del 9 ottobre per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione.
Fu aperta un’inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi.
Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.
La zona in cui si è verificato l’evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.

9 ottobre 1963

La frana che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo, accompagnati da un’enorme boato. Tutta la costa del Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò nel bacino sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembrò sparire, e al suo posto comparve una enorme nuvola bianca, una massa d’acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella più completa oscurità i paesi vicini.

La forza d’urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all’onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l’abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.

La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L’ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia.

Allo sbocco della valle l’onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso, che portava con se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall’onda che si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall’acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l’onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: una azione non meno distruttiva, che scavò in senso opposto alla direzione di spinta.

Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato una enorme massa d’acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.

Alle prime luci dell’alba l’incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l’imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale……….. si era consumata una tragedia tra le più grandi che l’umanità potrà mai ricordare.

Le descrizioni e i tempi di percorrenza sono indicativi al solo scopo di dare una indicazione preventiva, l’Hotel non risponde di eventuali cambi percorsi, chiusure strade o sentieri. Prima di partire informarsi negli Uffici di informazione turistica locali o presso le guide alpine. Si consiglia di utilizzare abbigliamento e calzature da montagna


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